Ciao a tutti tantestorie, come state? Rilancio con un nuovo esperimento letterario, spero che lo troverete divertente. In questa occasione vi propongo l’esercizio “se io fossi…”
Immedesimatevi in uno scrittore che amate, immaginate di essere lui. Domandatevi “se io fossi…cosa scriverei?” ed esplorate le infinite potenzialità della fantasia creativa. Scrivete un racconto seguendo il suo stile, il suo linguaggio, oppure scrivete affidandovi alle emozioni che i suoi scritti vi hanno suscitato.
Come al solito apro io le danze 😉 Vi posto un racconto che ho realizzato dopo essermi immedesimato in Stefano Benni. Si intitola “il furto del portagioie”, leggendolo potrete riconoscere la vena comica, grottesca e surreale di questo fantastico autore. Ovviamente non ho la presunzione di affermare che sia un racconto alla sua altezza, tuttavia spero di strapparvi un sorriso, uno dei tanti che vi strapperebbe il geniale scrittore emiliano.
Buona lettura! Spero di leggervi in tanti 😉
P.s. Avvertenza: lasciate andare lo spirito critico e auto-giudicante. E’ un gioco, spero che nessuno pensi che è un esperimento troppo difficile perché scatta immediatamente il paragone con l’autore di riferimento. Nessuno vuole sfidare i mostri sacri della scrittura, in questo blog non abbiamo l’obiettivo di diventare grandi scrittori ma semplicemente di confrontarci, stimolarci e condividere un pezzetto di strada insieme
IL FURTO DEL PORTAGIOIE
Quando Dante Terrazzieri, titolare dell’omonima macelleria, sita nell’omonima piazza dell’omonimo paese, tornò a casa e la trovò svaligiata dai ladri, cacciò un urlo potente, ma così potente, che l’onda d’urto che generò mandò in frantumi i vetri delle finestre, piatti, bicchieri, tavoli, casseforti blindate, portoni in legno rinforzato e tutto ciò che era frantumabile nell’arco di due miglia. Si fiondò nella camera da letto e cercò il suo portagioie.
“Tutto ma non il portagioie, vi prego, non potete rubarmi il portagioie!”, ripeteva ossessivamente tra sè e sè.
Non lo trovò. Rubato, insieme ad un televisore,un set di posate in simil-argento, l’abbonamento a vita in palestra (premio riservatogli in quanto vincitore del concorso “salsiccia dell’anno”, promosso dall’unica palestra del paese in ragione di un’abile operazione di marketing: più salsicce uguale più lonze da rassodare e più lardo da bruciare in palestra,uguale più clienti) e la foto (montaggio) con tanto di autografo (falso) che lo ritraeva sorridente in compagnia di Che Guevara.
Dopo un nanosecondo che parve un’eternità, la sua ira funesta si abbatté sul mobilio dell’appartamento, sfasciò sedie, poltrone, divani e sofà, triturò in maniera impeccabile qualsiasi oggetto gli capitasse a tiro, tazza del cesso e cappa della cucina in acciaio compresi. Quando in casa sua non rimase più nulla da distruggere passò al vicinato, attraversò in modalità tank il muro della cucina e piombò come una palla di cannone nel soggiorno dei coniugi Ambrogini, spalmò sul pavimento la signora e disegnò una nicchia nel muro con la sagoma di lui, più tardi ci vollero quattro persone armate di piede di porco e scalpello per staccarlo dalla parete.
Poi l’iracondo Dante si recò al piano di sotto, picchiò con un bastone la prostituta Teresona del primo piano e le trombò il cane, e viceversa. Scese in cortile , dove dei ragazzini giocavano a calcio, ammonì tutti e 11 i giocatori di una delle due squadre e ne espulse 7, decretando la vittoria a tavolino della squadra del condominio confinante per impossibilità a proseguire la partita causa inferiorità numerica.
Entrò nel bar Centrale e bevve 32 cappuccini e 18 caffè, non pagò il conto e sfasciò una caraffa di birra in testa al cassiere che aveva osato tossire mentre Dante stava uscendo dal locale, gesto interpretato come allusorio al mancato pagamento delle consumazioni (in realtà il cassiere era raffreddato).
Quando finalmente intervennero le forze dell’ordine, fu una carneficina. Dante approfittò dell’attimo di distrazione durante cui poliziotti e carabinieri discutevano su quale tra i due corpi avesse la precedenza d’intervento per afferrare un carro armato giunto nel frattempo insieme al grosso dell’esercito e scaraventarlo contro le pattuglie schierate a posto di blocco, facendole volare via come birilli. I militari, dinanzi a quella furia incontrollabile, batterono in ritirata, con occhi colmi di terrore, abbandonarono le armi, i mezzi, stivali, elmetti e qualcuno si cagò anche addosso.
Alle 4:34 a.m. l’ira funesta del Terrazzieri parve placarsi. Mentre era intento a sradicare il sedicesimo palo della luce si fermò di scatto, si guardò intorno spaesato, sbattè un paio di volte le palpebre e si ritirò verso casa. Alle 4:47 a.m. iniziò il suo pianto a dirotto, un ululato lamentoso risuonò in ogni via del paese e i vecchietti del locale circolo comunista, veterani partigiani parmigiani della Seconda guerra mondiale, scambiando il lamento per il suono della sirena antiaerea, scesero in strada armati fino ai denti, convinti che fosse scoppiata nuovamente la guerra. L’ ottantaquattrenne Giorgietti morì d’infarto nel tentativo di riallacciarsi i lacci degli scarponi che si erano sciolti. Prima di stirare le zampine trovò la forza di gridare “Abbasso il Duce!” mentre cadeva all’indietro mostrando il pugno sinistro.
Alle 9:12 a.m. il vigile del fuoco Zanchi, eroe cittadino con all’attivo cinquantaquattro estinzioni d’incendio e dodici risse da stadio sedate, trovò il coraggio di avvicinarsi all’appartamento del Terrazzieri. Lo trovò seduto su uno sgabello, i vestiti inzuppati di lacrime e una colata di moccio che gli cascava dal naso arrivandogli fino alla punta dei piedi. Si stava scolando una confezione di scottex e si soffiava il naso con una damigiana di vino. Lo Zanchi si servì delle sue doti di negoziatore per cercare di dialogare col Terrazzieri, utilizzò il metodo inverso, la psicologia dei sè e il voice dialogue, la tattica della marmotta, l’approccio teorico poi quello pratico, la tecnica della sedia vuota, bestemmiò cristi e madonne, ma non riuscì a fermare il pianto del disperato Dante e si ritirò impotente, ammettendo la sconfitta. Quello stesso giorno diede le dimissioni dal corpo dei vigili del fuoco e si ritirò a fare il guardiano del faro sull’isola di Capraia.
Alle 10:51 a.m. il Sindaco convocò d’urgenza il consiglio comunale. “Signori” esordì il primo cittadino di matrice centrosinistra ma terzino destro con un buon tiro di sinistro, “la situazione è drammatica, per non dire tragica. Prima di richiedere l’intervento della Nato, dell’Onu, Unesco, Greenpeace, Unicef, Save the children, eccetera, propongo di giocare un’ultima carta per cercare di risolvere la questione inter nos…o milan nos, se preferite. So che tra voi c’è qualche rossonero purosangue” disse il magnanimo Sindaco, noto per la sua arguzia nel cercare compromessi con tutte le parti politiche cittadine, così da dare voce a tutte le anime del paese. Strategia parabuddista applicata alla parapolitica, la definì qualcuno. Paraculaggine per tutti gli altri.
“la mia proposta è di richiedere l’intervento di Ugolino da Pescia”.
Le facce dei consiglieri si pietrificarono,congelate in una smorfia che esprimeva, dissenso, terrore, raccapriccio, ribrezzo.
Ugolino da Pescia…soprannominato il risolutore. Ex investigatore privato,meccanico, spacciatore, magnaccia, attore porno, prete, sarto, campione di tiro al piattello, lavavetri ai semafori, interprete di sogni, indovino, ciarlatano, cafone, sprecone, fancazzista,si era ritirato a vievere in una roulotte in periferia, a ridosso dell’autorimessa. La sua esperienza nei settori lavorativi più disparati gli permetteva di vivere di espedienti, svolgeva lavoretti che gli venivano commissionati e forniva anche consulenze a buon mercato. Si era fatto una certa fama dando consigli agli adolescenti che avevano problemi di cuore.
“La ragazza mi ha lasciato, Ugolino”. -” Mangia più fibre e andrai meglio di corpo.”
“Sono innamorato ma non ho il coraggio di dichiararmi”-” Hai provato con l’aglio crudo? Dicono sia un toccasana contro le zanzare.”
Il cento per cento dei consiglieri durante le interrogazioni si dichiarò contrario a richiedere l’intervento di Ugolino ma la classica manovra delle tangenti, di cui il sindaco era maestro, sovrano e genitore, permise di ribaltare l’esito della votazione.
Quando Ugolino da Pescia si trovò davanti alla sua roulotte il sindaco, il suo vice, l’assessore alle politiche giovanili tutta la schiera dei consiglieri comunali e di circoscrizione, il segretario, l’usciere, in ginocchio e supplicanti a richiedere il suo intervento, sgranò gli occhi e un fumo di colore nerastro gli uscì dalle orecchie. Qualcuno tra i presenti giurò di aver visto le sue pupille assumere la forma del simbolo del dollaro, mentre un suono da jackpot risuonava nell’aria. Ugolino da Pescia fu assunto alla modica cifra di 8 euro netti al minuto più i contributi, una fornitura vitalizia di prosecco Valdobbiadene e due mignotte al giorno.
Il suo intervento fu verso ora di pranzo. Dante non smetteva di singhiozzare anche mentre mangiava, prendeva a morsi delle scatolette di tonno e tossiva, sparando schegge di metallo più devastanti di quelle di una granata. Ugolino entrò nell’appartamento proteggendosi dietro uno scudo da falange spartana e gli lanciò dei bocconcini di carne cruda per ammansirlo con gli odori e i sapori che ricordassero il suo mestiere. La mossa sembrò funzionare, Dante tirò su col naso inspirando l’odore ferroso del sangue e camminando carponi si avvicinò a Ugolino, mangiò dei bocconi di carne cruda direttamente dalla sua mano, poi gliela leccò. A quel punto Ugolino gli chiese “qual’è il problema, mio buon amico? Perchè sei così triste?” Un secondo dopo era in volo giù per il palazzo, scaraventato dalla finestra dell’appartamento da un Terrazzieri di nuovo fuori di senno, all’urlo di “Portagioieee!!!!”
Ugolino cadde nel vuoto da un’altezza di dodici metri, e atterrò su un’alfa 146, sfasciandola completamente. La sua passata esperienza come stuntman cinematografico gli permise di uscirne quasi illeso, un cerotto su un sopracciglio ammaccato ed era di nuovo operativo.
Ugolino aveva strappato un’informazione preziosa, ora sapevano che il suo delirio era dovuto alla scomparsa del suo portagioie. Chiesero a Pasqualina Terrenzi, l’unica donna che sia stata fidanza con Dante in 47 anni di vita, e scoprirono che il portagioie era stato un suo dono. La loro storia era durata appena tre settimane, pare che il motivo della rottura fosse la mancanza di intimità e romanticismo nella coppia. Si erano lasciati il giorno di san valentino, quando Dante ricambiò il dono del portagioie con un etto e mezzo di bresaola.
Era chiaro il motivo dello strazio di Dante, gli era stato portavo via il ricordo del suo primo e unico amore, che custodiva gelosamente e teneramente. Fu chiesto a Pasqualina di tornare con Dante così da porre fine a quell’apocalisse cittadina, ma ella rifiutò in quanto frequentava un ragazzo, Cesare, il garzone della bottega dei sapori, lui sì che sapeva conquistare il cuore di una donna, per il suo compleanno le aveva regalato un vasetto di crema di tartufo.
Passarono i giorni e la situazione non accennò a migliorare, Dante se ne stava barricato in casa a versare fiumi di lacrime, piangeva mentre mangiava, piangeva mentre andava al bagno, piangeva addirittura mentre dormiva.
Inoltre si presentò il problema della bottega, che rimaneva chiusa e non gestita da nessuno, per cui la carne presente nel locale si stava putrefacendo, emanando un odore di morte in tutto il quartiere. Per evitare il diffondersi di un’epidemia si decise di far detonare il negozio.
L’idea proposta da Ugolino di consegnare a Dante un portagioie qualsiasi spacciandolo per quello originale, recuperato dopo l’arresto dei ladri e il recupero della refurtiva, si rivelò molto infelice. Dante si accorse subito del raggiro e per rappresaglia distrusse tutti i negozi di bigiotteria della città.
Si decise di dare luogo ad un’imponente caccia all’uomo per scovare i furfanti che avevano svaligiato l’appartamento del Terrazzieri, le indagini coinvolsero CIA, FBI, Scotland Yard ed ex spie KGB assoldati a nero,e portarono a individuare come autori del furto una banda composta da tre ladri di galline che rispondevano al nome di Nicola Esposito, disoccupato, Renzo Torretta, inoccupato per scelta, Davide Lorenzetti, in cassa integrazione straordinaria dalla nascita.
L’operazione di cattura fu condotta da un commando dei Nocs coordinati dal Sismi, coadiuvati dal Sisde col benestare dei Cobas, Fiom e i sindacati di base con eccezione dell’Uil, che si era astenuta.
L’arresto avvenne dinanzi al bar Nasti, dove i tre ladri stazionavano in apparente atteggiamento sospetto. Esposito si scaccolava il naso, il Torretta lo osservava tenendo il labbro leggermente piegato in una smorfia di disgusto, mentre il Lorenzetti pareva assopito su una sedia. Russava così forte da far tremare il tavolino che aveva di fronte, un moscone che gli ronzava intorno ad indicare una pessima igiene del Lorenzetti di tanto in tanto scendeva in picchiata ad esplorare le fauci che teneva spalancate e attraverso cui emetteva dei grugniti animaleschi.
Secondo la base operativa i loschi figuri stavano in realtà comunicando in codice, sapevano di essere osservati e stavano studiando una strategia dei fuga. Fu dato ordine al commando di rimanere in attesa e ci vollero quattro ore e quarantacinque minuti di assoluta immobilità del trio e l’esaurimento nervoso del cecchino appostato sul tetto del palazzo di fronte che aveva cominciato a sparar
e all’impazzata ferendo quarantuno inermi civili per convincere il capo delle operazioni a mandare avanti l’operazione.
La banda di furfanti non tentò la fuga e non oppose resistenza all’arresto, anzi, rimase ad osservare con espressione inebetita la scena di panico seguente al gesto folle del cecchino. Uno dei colpi abbattè il moscone e il Lorenzetti ottenne un permesso premio per recarsi al funerale dell’amico scomparso.
La refurtiva fu recuperata e si decise di riconsegnarla al Terrazzieri durante una solenne cerimonia con tanto di videoconferenza in collegamento con 192 paesi per celebrare il solenne momento, ma il macellaio disertò l’evento. Aveva trovato un nuovo amore e non gli importava più nulla del portagioie.
La commessa del negozio di sartoria, Anita Binocci, era rimasta impietosita dalle lacrime del disperato e solo Dante il macellaio, per cui si recò al suo appartamento per portargli in dono un kit di fazzoletti di seta ricamati a mano, con un cuoricino e le iniziali DT ricamate in un angolo. Quando Dante la vide arrestò immediatamente le lacrime e le sorrise amabilmente. Ringraziò del dono e ricambiò regalandole tre etti di fesa di tacchino. La Anita sentì le farfalle nello stomaco e si convinse di essersi innamorata,quando probabilmente era solo appetito dato che era ora di pranzo e lei pesava novantotto chili, fatto sta che i due cominciarono a frequentarsi e vissero a lungo insieme felici e contenti.
Tutto fu bene quel che finì bene, la vita in paese tornò a scorrere monotona e serena per tutti, tranne per Ugolino da Pescia, che morì due mesi dopo per una cirrosi epatica causata da un’overdose di prosecco, che lo stroncò durante un’orgia con due mulatte istruttrici di kamasutra estremo e tantra yoga.